Bilancio Cesenate, astenuto il 43% dei soci. Trotto&Turf stop agli slogan. Serve una proposta per la quota fissa.
La riqualificazione e il rilancio del settore annunciati dal Mipaaf e dalla categorie amiche rispecchiano la politica delle briciole e non servono a chiudere una voragine che in un primo momento ha causato un fatale impoverimento di proprietari, allenatori, lavoratori e adesso anche di società di corse sia per quanto concerne l’aspetto economico – finanziario, sia quello gestionale, caratterizzato dalla mancanza di unione e liti interne.
Il 5 luglio si tenuta l’assemblea di Hippogroup Cesenate, società che gestisce gli ippodromi di Cesena, Bologna, ha azioni negli impianti Torino, Varese, controlla il pacchetto di maggioranza di Roma Capannelle ed è proprietaria del centro di allenamento di Castel San Pietro.
Grazie alle entrate dal gioco (sale bingo-vlt–slot), la società ha colmato le perdite del settore ippico ed ha distribuito agli oltre quattrocento soci un dividendo di 6 centesimi per azione, inferiore comunque al 2015, quando l’utile d’esercizio è stato di 914.000 contro i 564.000 del 2016 (Resto del Carlino).
A questo si somma la frattura all’interno della società per un diverso modo di concepire la gestione dei comparti gioco e ippico, in cui Hippogroup ha perso posizioni importanti e visto i suoi impianti indietreggiare per valore e centralità.
Contrapposizione che ha portato lo scorso anno all’uscita dal consiglio di amministrazione di famiglie storiche come Calzolari, Pasini–Sensini, Fabbri, Antonelli e che è continuata sino a quest’anno, quando il bilancio di Hippogroup è stato approvato solo con il 57% dei voti, astenuto il restante 43% dei soci.
“Noi non molleremo, siamo determinati ad andare avanti. Bisogna separare gli interessi familiari da quelli della società. Per il futuro della Cesenate, per quello che rappresenta per la nostra città e per la storia dell’ippica. ”, il coro unanime dell’opposizione.
Quota fissa
Sabato scorso Trotto&Turf, a firma di Marco Trentini, ha pubblicato un articolo intitolato “Orari e tipo di scommesse. Quello che piace alla gente….”
Più che condivisibile sino a quando cita “la continua salita delle scommesse a quota fissa”.
Una salita che nei fatti non esiste, se i numeri contano qualcosa.
Bisogna portare i numeri a conferma delle parole e proporre un percorso.
Al 30 giugno il movimento della quota fissa è stato di 59.646.425 contro 46.699.039 del 2016. Un + 27,73 che in ricavi ha portato all’ippica solo 809.000 euro in più rispetto al 2016, 1.618.000 in proiezione annua. Un’inezia.
Dalla quota fissa dovrà entrare nelle salassate casse dell’ippica almeno 20 volte tanto se si vuole che contribuisca a rilanciare l’allevamento italiano.
La quota fissa ha un potenziale “enorme” e per applicarla deve essere prima formulato un progetto. Bisogna realizzare un prodotto certificato, l’opposto dell’attuale che non pochi dubbi e perplessità suscita sia per confezione sia per svolgimento delle corse.
Il prodotto al momento nasce falsato prima di entrare in pista.
Per un prodotto certificato è necessario un progetto che non esiste.
Ottimizzare il prodotto ippico, non significa, o almeno non significa solo, rendere ogni corsa di cavalli produttiva, intendere la corsa o la gara fine a sé stessa, ma l’indotto che consegue allo spettacolo ippico in termini di aumento di scommesse, di appassionati, di aumento degli spettatori negli ippodromi, di allevatori, proprietari, allenatori, guidatori e fantini e lavoratori.
In modo che si ottimizzi qualitativamente il cavallo italiano da competizione. In sostanza, più lo spettacolo ippico è interessante, più sono gli appassionati, più interesse circola intorno al settore, e più aumentano scommettitori, filiera ippica e posti di lavoro.
Il sillogismo è di una logica stridente.
Senza prodotto certificato, senza proposte solo con gli slogan e l’approssimazione della nostra ippica la quota fissa non servirà a nulla. Solo a dare l’ennesima mazzata al settore e a far utilizzare dagli interessati le loro banche dati ai concessionari, infischiandosene del bene dell’ippica per qualche briciola.
Ci saremo giocati una delle ultime possibilità di sopravvivenza.
Il decreto normativo non è “in viaggio”.
Gli uffici preposti hanno apportato delle integrazioni perché la proposta di alcuni concessionari e associazioni di ippodromi inviata a Baretta non prevedeva l’applicazione del palinsesto complementare e quindi della quota fissa sulle corse italiane.
Non possiamo continuare a suonarcela e a cantarcela da soli!!
Tev