Ribot

In un contesto quotidiano caratterizzato da una sequenza terribile di fatti negativi quali i pagamenti in ritardo, l’attesa dei consueti tagli che ormai si susseguono a ritmi mensili e non solo più annuali, la diaspora dei proprietari, il disinteresse della politica, la filiera ippica, dopo aver respinto l’assalto alla diligenza di personaggi più interessati a riformare le scommesse che ridare un futuro degno al comparto, dovrebbe gridare a gran voce la sua richiesta di dare applicazione alla riforma del settore compresa nel collegato agricolo.

Tutto il comparto è ormai ridotto allo stremo sia da un punto di vista economico ma soprattutto da un punto di vista emozionale, culturale e sociale.

Gli ippici si sentono “emarginati” all’interno del nostro paese, come il parente che non potendosi più mantenere con il proprio lavoro chiede sommessamente l’elargizione di qualche finanziamento per campare.
Il senso di frustrazione per l’emarginazione nazionale è acuito dal fatto che le capacità professionali, allevatoriali e imprenditoriali degli ippici italiani sono valorizzate, sia al trotto sia al galoppo, da realtà d’eccellenza in tutta Europa e nel mondo.

Quindi non sono gli uomini, le capacità, l’inventiva che mancano agli ippici italiani ma quello che manca è l’humus in cui mettere questi semi e farli germogliare e crescere.
L’attuale contesto burocratico amministrativo autoreferenziale in cui ci troviamo sta soffocando il comparto e purtroppo, come in un campo, in una condizione di crescita poco favorevole sono le erbacce a prosperare e non le piante utili.

Si deve procedere rapidamente a una disinfestazione radicale per ridare slancio a un’eccellenza italiana che dagli anni 50 ai 70 ha riportato successi internazionali in particolare al trotto con Tornese che ebbe una lunga carriera di vittorie fino al 1962 e nel galoppo con Ribot, “simbolo della disordinata rinascita italiana del dopoguerra che il tifo per la prima volta contagia l’intera nazione e non più solo gli appassionati. (Gianoli, 1991)” a cui si associano i successi di Crevalcore (1960), Molvedo (1961), Prince Royal (1964), Cogne (1967 e 1969), Ortis (1971), Grundy (1975).
Tutto questo è una provocazione per risvegliare l’orgoglio della filiera ippica Italiana che è di gran lunga migliore di tutti i dirigenti ministeriali e di UNIRE/ASSI che si sono succeduti negli ultimi 10 anni.

A proposito di provocazioni ci piace ricordare questo fatto:

Di Ribot si è scritto e detto tanto, ma un racconto probabilmente poco conosciuto è quello che riporta Fossati (1997) riferitogli dall’Avvocato Paolo Mezzanotte, che alla fine della guerra era responsabile della commissione che doveva vigilare e autorizzare l’esportazione dei purosangue. “Il mercato era chiuso, nel senso che un grande cavallo non poteva essere esportato se non dopo un determinato periodo di monta, come stallone, in Italia. Tesio mi chiese un favore: voleva vendere al più presto e agli inglesi Tenerani (che non gli era simpatico). Io bocciai la richiesta. L’indomani incontrai Tesio, che ostentatamente non rispose al mio saluto. Accadde a distanza di giorni che Tesio mi incrociasse nuovamente. Sei un ragazzaccio, Paolo, un autentico ragazzaccio, sbottò. Tesio destinò infine Romanella (che pure gli dava sul nervo) a Tenerani. E nacque Ribot. Non oso affermare che, per dispetto, Tesio abbia accoppiato quei due. Dico solo che il genio (e Tesio genio lo era) a volte ha bisogno di una provocazione […]”Castelli, R. (2004) Ribot, Cavallo del Secolo, Equitare editore Isea, Siena

E che la corsa dell’ippica italiana verso un futuro degno sia come la corsa di Ribot.

Marco Montana

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