Facciamo chiarezza una volta per tutte da dove arrivano i soldi spesi, a vario titolo, per la filiera ippica.

Da molto tempo e da più parti molti si scagliano contro lo spreco di denaro “pubblico”, genericamente affermando che arrivano dalla fiscalità generale – cioè presi dalle tasse degli italiani inconsapevoli – per i soldi dati agli ippodromi o messi a montepremi.

Tutto questo è falso!

Non un euro arriva dalla fiscalità generale, cioè dalle tasse che ciascuno di noi è obbligato (volente o nolente, con il sorriso o con l’arrabbiatura) a versare allo Stato.

Dei circa 170M del 2018, circa 70M arrivano dalla quota riservata alla filiera ippica derivante dalle scommesse (quota fissa o totalizzatore).
Questa quota non rappresenta dei soldi pubblici”, ma è solo (detto in parole molto semplici) il “guadagno” della filiera nel partecipare all’effettuazione delle corse e tutto viene da sempre ridato ai legittimi proprietari, cioè i protagonisti dello spettacolo: proprietari, allenatori, guidatori, fantini e società di gestione delle corse.
Questa distribuzione dei “guadagni” attualmente è effettuata (male) per il tramite del Mipaaf e in passato tramite Unire/Assi.
Questa quota non è una benefica elargizione data dallo Stato, ma è un diritto della filiera sancito per legge sin dal secolo scorso, non è denaro “pubblico” come non è “pubblico” il guadagno fatto da tutti quei soggetti (assuntori di gioco per tutti i giochi, tabaccai per tabacco e valori bollati, società autostradali per le autostrade) che lavorano con una concessione data dallo Stato, che a sua volta ha il suo tornaconto per gli aggi che preleva su questi servizi.
I rimanenti 100M arrivano dall’introito che lo Stato ha da tutti i giochi pubblici con vincite in denaro: vengono presi dal prelievo statale effettuato sui soldi che il cittadino italiano volontariamente spende, per un genere non necessario, quali la scommessa, effettuata spontaneamente con la speranza di arricchirsi.
Questo vale anche per lo sport tutto: finanziamento CONI, restauro di molti beni culturali attraverso il lotto.

Quindi neppure un euro viene tolto dalle tasche di italiani inconsapevoli.

Nello specifico, ad esempio, per le società di gestione degli ippodromi bisogna puntualizzare che tutti i finanziamenti su questo capitolo di spesa arrivano solo dall’aliquota delle scommesse, quindi sono soldi dati per tramite dello Stato, ma non sono soldi “pubblici” (fiscalità generale).

Che poi gli ippodromi italiani si ostinino a perseguire vecchi schemi assistenziali, manchino di imprenditorialità, senza coraggio di accettare le sfide del nuovo mercato è un altro discorso.

Cerchiamo pertanto di portare la discussione nel suo alveo normale e non nella demagogia che da facile consenso, ma non aiuta a risolvere i problemi.
Partiamo dalla radice del problema: il Consiglio di stato nel suo parere sulla natura dei rapporti tra società di corse e Ministero ha espresso il concetto (giusto o sbagliato lasciamo il campo ai giuristi) che il ministero non può stipulare una convezione, un contratto o simili con gli ippodromi poiché i servizi resi da questi sono erogati non al ministero, ma ad altri soggetti quali proprietari, allenatori, guidatori, fantini, scommettitori e pubblico.
Da qui l’escamotage della sovvenzione, cioè una datazione di denaro per contribuire all’erogazione dei servizi ai diretti interessati (la realtà è molto più complessa, ma abbiamo volontariamente semplificato).
Quindi il problema dei soldi erogati deve essere visto in funzione dei servizi resi a quei soggetti che il Consiglio di stato ha stabilito essere i fruitori e non il Mipaaf che ha il ruolo di ufficiale pagatore, di controllare che tutto sia erogato al meglio e non del soggetto che decide come erogare i fondi di cui lui non beneficia.
Come si vede l’assurdità della classificazione degli ippodromi, impostata con un metodo ministero centrico con parametri avulsi dai reali servizi resi e abbinati solo alla presenza di un parametro (centro allenamento si/no impianto luci si/no e via discorrendo) e non alla sua qualità senza mai interfacciarsi con la filiera o meglio sentendo solo i soliti noti.
Basta discutere se sia giusto usare soldi pubblici per gli ippodromi o per i premi, sono soprattutto i soldi delle scommesse che devono obbligatoriamente ritornare alla filiera, discutiamo del come questi soldi vengono utilizzati.
Basta con classificazioni politiche,” parliamo di cosa serve, di qualità, di attrattività, di far aumentare il pubblico, le scommesse e la buona occupazione.
L’ippica ha bisogno di un progetto, di un futuro, di un sogno non di politici inutili, di piccoli gestori di un presente triste.
Ogni allevatore, proprietario, allenatore, fantino o guidatore pensa e spera che il prossimo cavallo sia il nuovo Varenne o Ribot, questo è il cuore pulsante che muove l’ippica perché la filiera tutta non deve aspirare a invertire questa china su cui un’invasiva burocrazia la sta spingendo?

Per un Piano industriale credibile si deve passare attraverso una “managerializzazione “ della gestione, un progetto inclusivo proiettato a perseguire l’interesse collettivo ippico. Un progetto inclusivo che consenta di trarre le risorse dal prodotto che viene confezionato. Solo un prodotto tecnicamente valido, certificato, immune da alterazioni, con garanzie di controlli e seria vigilanza può essere positivamente venduto, riattivando automatismi capaci di riportare negli ippodromi appassionati, pubblico e aumento del volume delle scommesse attraverso l’introduzione di criteri nuovi e meritocratici e non clientelari.

Ora il prodotto ippico è scadente, anche e soprattutto perché non credibile e non è credibile perché gestito da personaggi che non hanno interessi funzionali a quelli dell’ippica, ma solo alla loro poltrona e al loro reddito di posizione.

L’ippica è uno sport serio e deve essere gestita seriamente da persone competenti.

Redblack

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